Nasce a Recanati dal conte Monaldo e da Adelaide Antici. Il padre, uomo colto di cultura enciclopedica, aveva messo insieme una notevole biblioteca in cui Giacomo, dopo aver conseguito un'istruzione ecclesiastica fino all'età di dieci anni, si rinchiuderà per sette anni di "studio matto e disperato" dove imparerà perfettamente il greco, il latino e l'ebraico.
Sul piano politico segue le idee reazionarie del padre, ma nel 1816 si attua in lui quella conversione chiamata erudizione al bello, in cui abbandona le idee paterne per approfondire i grandi poeti del passato come Virgilio, Omero, Dante e Rousseau.
Nel 1819 cerca di scappare di casa, ma viene scoperto dal padre e questo sarà determinante poiché porterà il giovane Leopardi ad una visione pessimistica della realtà.
Dopo qualche anno ha la possibilità di uscire da Recanati e va a Roma, ma gli ambienti letterari e la grandezza della città gli appaiono vuoti e meschini. Soggiornò in varie città d'Italia come Milano, Bologna, Pisa e infine Napoli dove vi morì dopo essersi sentito male alla fine di un pranzo.
NATURA BENIGNA:
Tesi di fondo del pensiero Leopardiano è il pessimismo, la nullità delle cose e l'infelicità dell'uomo nel corso della vita. Egli identifica la felicità umana come materiale e sensibile, in cui l'uomo desidera il piacere infinito per durata ed estensione, ma non essendo possibile, egli ne rimarrà insoddisfatto a vita. Nasce così il senso di nullità per tutte le cose e un vuoto incolmabile nell'anima. La natura però, che in questa prima fase è considerata benigna, lascia all'uomo l'immaginazione e l'illusione grazie alle quali l'uomo potrà sfuggire dalla misera condizione in cui è.
PESSIMISMO STORICO:
Leopardi dice che l'uomo conobbe la felicità solo nelle epoche antiche, in quanto viveva in stretto contatto con la natura. Colpevolizza quindi l'uomo per questo graduale allontanamento dal mondo naturale che produce, nel secolo in cui vive, la meschinità e viltà tipiche della Restaurazione.
NATURA MALVAGIA:
La concezione di natura benigna esposta prima entra però in crisi. Leopardi si rende conto che la natura mira al bene della specie e non del singolo, in quanto se necessario sarebbe disposta a sacrificarlo in funzione del tutto. La colpevolizza inoltre perché se l'uomo vige in questo stato di infelicità perenne è colpa sua, poiché non gli ha dato gli strumenti adatti per soddisfare i propri desideri. Concepisce quindi la natura come malvagia, indifferente alla sorte delle sue creature, passando da una concezione Finalistica ad una Meccanicistica.
PESSIMISMO COSMICO:
Arrivato Leopardi alla concezione per la quale è la natura la causa dei mali e dell'infelicità umana, arriva a dire che non potendo cambiare le sue caratteristiche, colpiva indifferentemente l'uomo del presente come quello del passato. "L'infelicità non è più legata ad una concezione storica, ma assoluta"
TEORIA DEL PIACERE:
Come detto nella concezione della natura benigna, l'uomo desidera essenzialmente il piacere, quello infinito, sia per lunghezza che per estensione, ma essendo la vita una cosa finita che pone dei paletti alle nostre illusioni, arrecherà sempre tristezza e malinconia nell'animo umano. Vi sono solo due momenti per Leopardi in cui l'uomo è realmente felice: -la cessazione di un affanno ; -l'attesa o la strada per il raggiungimento di un presunto momento di gioia.
L'uomo quindi più immagina e si illude con una certa ignoranza più sarà felice, poiché è proprio la cognizione del vero e dei suoi limiti che lo scoraggia. E' quindi il fanciullo l'unica persona in grado di apprezzare e raggiungere realmente la felicità perchè immagina e sogna.
VAGO E INDEFINITO:
Detto che una sorta di felicità deriva dall'immaginazione e dall'illusione, Leopardi spiega che quel piacere è tale in quanto vago e indefinito, ovvero privo di paletti e costrizioni.
Nello Zibaldone spiega esplicitamente che questi attimi illusori sono solamente delle rimembranze del periodo fanciullesco, portatore di compiacimento e contentezza.
GLI IDILLI:
Rappresentano scene di vita bucolica-agreste in cui a Leopardi preme trasmettere momenti essenziali della sua vita interiore. Esempi ne sono "l'infinito", "La sera al dì di festa", "La vita solitaria" ecc.. in cui l'autore, a partire da sensazioni uditive e visive contempla la meditazione sull'idea di "vago ed indefinito".
ZIBALDONE:
E' un diario considerato l'officina entro la quale si forgiò la poetica Leopardiana. Uscì dopo la morte e consta oltre quattro mila pagine contenenti appunti, riflessioni e pensieri di carattere filosofico e filologico.
L'Infinito:
E' composto da due sequenze omogenee e simmetriche. La prima, dai versi 1-8, parte da una situazione concreta per giungere, mediante un ostacolo visivo quale è la siepe, alla percezione di Infinito spaziale.
Nella seconda parte, versi 8-15, il poeta torna dapprima alla dimensione reale finita, per giungere poi, mediante uno stimolo sensoriale acustico (il vento) all' Infinito temporale, confrontando l'età presente con le epoche passate.
Il testo oscilla continuamente tra finito ed infinito dove assumono particolare rilievo l'uso degli aggettivi dimostrativi "questo" e "quello". I versi sono endecasillabi sciolti e il lessico è ricco di termini vaghi. Nella sintassi prevale la coordinazione e il polisindeto.
A Silvia:
Viene presentata una figura immaginaria, simbolo della speranza giovanile interrotta da una morte prematura. Si identifica con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tubercolosi all'età di 21 anni.
La lirica è caratterizzata da un senso di vaghezza che corrisponde con la poetica leopardiana del vago ed indefinito. La figura femminile presenta solo qualche indicazione come gli occhi "ridenti e fuggitivi" e l'atteggiamento "lieto e pensoso".
La tematica a cui gira attorno la lirica è quella della fanciullezza che quando riaffiora alla mente arreca un senso di felicità seppur temporanea.
Il sabato del villaggio:
Il quadro paesano presenta due figure femminili contrapposte: la donzelletta, che immagina la gioia del giorno di festa e la vecchiarella che ricorda i felice momenti di festa della sua giovinezza. (speranza e fanciullezza collegate al tema della festa). Esse si concretizzano poi nel simbolo del mazzolin di rose e viole, che seppur non veritiero (Pascoli "rose di maggio e viole di marzo"), mira ad ottenere quel vago ed indefinito che garantisce la giusta poeticità.
Sul piano politico segue le idee reazionarie del padre, ma nel 1816 si attua in lui quella conversione chiamata erudizione al bello, in cui abbandona le idee paterne per approfondire i grandi poeti del passato come Virgilio, Omero, Dante e Rousseau.
Nel 1819 cerca di scappare di casa, ma viene scoperto dal padre e questo sarà determinante poiché porterà il giovane Leopardi ad una visione pessimistica della realtà.
Dopo qualche anno ha la possibilità di uscire da Recanati e va a Roma, ma gli ambienti letterari e la grandezza della città gli appaiono vuoti e meschini. Soggiornò in varie città d'Italia come Milano, Bologna, Pisa e infine Napoli dove vi morì dopo essersi sentito male alla fine di un pranzo.
NATURA BENIGNA:
Tesi di fondo del pensiero Leopardiano è il pessimismo, la nullità delle cose e l'infelicità dell'uomo nel corso della vita. Egli identifica la felicità umana come materiale e sensibile, in cui l'uomo desidera il piacere infinito per durata ed estensione, ma non essendo possibile, egli ne rimarrà insoddisfatto a vita. Nasce così il senso di nullità per tutte le cose e un vuoto incolmabile nell'anima. La natura però, che in questa prima fase è considerata benigna, lascia all'uomo l'immaginazione e l'illusione grazie alle quali l'uomo potrà sfuggire dalla misera condizione in cui è.
PESSIMISMO STORICO:
Leopardi dice che l'uomo conobbe la felicità solo nelle epoche antiche, in quanto viveva in stretto contatto con la natura. Colpevolizza quindi l'uomo per questo graduale allontanamento dal mondo naturale che produce, nel secolo in cui vive, la meschinità e viltà tipiche della Restaurazione.
NATURA MALVAGIA:
La concezione di natura benigna esposta prima entra però in crisi. Leopardi si rende conto che la natura mira al bene della specie e non del singolo, in quanto se necessario sarebbe disposta a sacrificarlo in funzione del tutto. La colpevolizza inoltre perché se l'uomo vige in questo stato di infelicità perenne è colpa sua, poiché non gli ha dato gli strumenti adatti per soddisfare i propri desideri. Concepisce quindi la natura come malvagia, indifferente alla sorte delle sue creature, passando da una concezione Finalistica ad una Meccanicistica.
PESSIMISMO COSMICO:
Arrivato Leopardi alla concezione per la quale è la natura la causa dei mali e dell'infelicità umana, arriva a dire che non potendo cambiare le sue caratteristiche, colpiva indifferentemente l'uomo del presente come quello del passato. "L'infelicità non è più legata ad una concezione storica, ma assoluta"
TEORIA DEL PIACERE:
Come detto nella concezione della natura benigna, l'uomo desidera essenzialmente il piacere, quello infinito, sia per lunghezza che per estensione, ma essendo la vita una cosa finita che pone dei paletti alle nostre illusioni, arrecherà sempre tristezza e malinconia nell'animo umano. Vi sono solo due momenti per Leopardi in cui l'uomo è realmente felice: -la cessazione di un affanno ; -l'attesa o la strada per il raggiungimento di un presunto momento di gioia.
L'uomo quindi più immagina e si illude con una certa ignoranza più sarà felice, poiché è proprio la cognizione del vero e dei suoi limiti che lo scoraggia. E' quindi il fanciullo l'unica persona in grado di apprezzare e raggiungere realmente la felicità perchè immagina e sogna.
VAGO E INDEFINITO:
Detto che una sorta di felicità deriva dall'immaginazione e dall'illusione, Leopardi spiega che quel piacere è tale in quanto vago e indefinito, ovvero privo di paletti e costrizioni.
Nello Zibaldone spiega esplicitamente che questi attimi illusori sono solamente delle rimembranze del periodo fanciullesco, portatore di compiacimento e contentezza.
GLI IDILLI:
Rappresentano scene di vita bucolica-agreste in cui a Leopardi preme trasmettere momenti essenziali della sua vita interiore. Esempi ne sono "l'infinito", "La sera al dì di festa", "La vita solitaria" ecc.. in cui l'autore, a partire da sensazioni uditive e visive contempla la meditazione sull'idea di "vago ed indefinito".
ZIBALDONE:
E' un diario considerato l'officina entro la quale si forgiò la poetica Leopardiana. Uscì dopo la morte e consta oltre quattro mila pagine contenenti appunti, riflessioni e pensieri di carattere filosofico e filologico.
L'Infinito:
E' composto da due sequenze omogenee e simmetriche. La prima, dai versi 1-8, parte da una situazione concreta per giungere, mediante un ostacolo visivo quale è la siepe, alla percezione di Infinito spaziale.
Nella seconda parte, versi 8-15, il poeta torna dapprima alla dimensione reale finita, per giungere poi, mediante uno stimolo sensoriale acustico (il vento) all' Infinito temporale, confrontando l'età presente con le epoche passate.
Il testo oscilla continuamente tra finito ed infinito dove assumono particolare rilievo l'uso degli aggettivi dimostrativi "questo" e "quello". I versi sono endecasillabi sciolti e il lessico è ricco di termini vaghi. Nella sintassi prevale la coordinazione e il polisindeto.
A Silvia:
Viene presentata una figura immaginaria, simbolo della speranza giovanile interrotta da una morte prematura. Si identifica con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tubercolosi all'età di 21 anni.
La lirica è caratterizzata da un senso di vaghezza che corrisponde con la poetica leopardiana del vago ed indefinito. La figura femminile presenta solo qualche indicazione come gli occhi "ridenti e fuggitivi" e l'atteggiamento "lieto e pensoso".
La tematica a cui gira attorno la lirica è quella della fanciullezza che quando riaffiora alla mente arreca un senso di felicità seppur temporanea.
Il sabato del villaggio:
Il quadro paesano presenta due figure femminili contrapposte: la donzelletta, che immagina la gioia del giorno di festa e la vecchiarella che ricorda i felice momenti di festa della sua giovinezza. (speranza e fanciullezza collegate al tema della festa). Esse si concretizzano poi nel simbolo del mazzolin di rose e viole, che seppur non veritiero (Pascoli "rose di maggio e viole di marzo"), mira ad ottenere quel vago ed indefinito che garantisce la giusta poeticità.